2014, luglio

ViviTenerife – Avete finito, no? Com’è andata?

Giovanni Comoli – Ci siamo resi conto ancora una volta che esiste molta disinformazione sulla fiscalità spagnola.

VT – Ma lei non aveva detto che quì il sistema è più semplice?

GC – Certo, è molto più semplice prepare una dichiarazione in Spagna visto che il fisco già ci invia una dichiarazione preimpostata. I problemi nascono dalle differenze con l’Italia che sconcerta e confonde i nostri connazionali.

VT – La fiscalità è così diversa?

GC – Vede, ci sono due tipi di reddito. Il primo gruppo, i redditi da lavoro, comprende stipendi, pensioni e gli utili delle partite Iva. Nel secondo gruppo, i redditi da rispamio, invece sono compresi tutti quei rendimenti ottenuti dai nostri investimenti: affitti di immobili, interessi attivi e dividendi, oltre alle plusvalenze, cioè i guadagni ottenuti per la vendita dei nostri beni finanziari o immobiliari.

VT – Sono soggetti a imposte diverse?

GC – Come regola generale nel primo gruppo le aliquote d’imposta sono proporzionali, cioè aumentano con l’aumentare del reddito. Nel secondo gruppo sono fisse. In entrambi i Paesi le percentuali sono abbastanza simili.

VT – Se le aliquote sono simili… dov’è la differenza?

GC – Spagna utilizza detrazioni fisse che abbassano il reddito imponibile a tutti nella stessa maniera. Inoltre permette deduzioni solo fino a un certo livello. In questo modo il sistema fa pagare poco a chi guadagna poco. Però, intorno ai 100.000,00 € di reddito annuo si cominciano a pagare più tasse che in Italia.

VT – Davvero? Potrebbe fare un esempio?

Immaginiamo un lavoratore che paga un affitto di 500,00 € al mese e che ha coniuge e un figlio a carico. Con uno stipendio annuo di 20.000,00 €, pagherà 620,00 € in Spagna e 2.000,00 € in Italia. Se guadagna 40.000,00 € pagherà 7.600,00 € quì e 9.800,00 € in Italia mentre a 100.000,00 € si paga in entrambi i Paesi circa 36.000,00 €.

VT – Una bella differenza sui bassi redditi….!

GC – Già! Però esiste la contropartita. Nei redditi da risparmio si inglobano le plusvalenze. Dato il valore affettivo dell’italiano per il mattone e per la famiglia, solo in poche occasioni si pagano imposte sulle plusvalenze immobiliari e, praticamente, neppure si tassano donazioni e successioni.

VT – Si trova quì la differenza fra i due Paesi?

Sì, in Spagna questi redditi sono fortemente tassati. Si figuri che, in certi casi limite, sulle successioni si paga il 66%.

VT – Però, cosa confonde gli italiani?

GC – Nel momento in cui un italiano ha preso la residenza nelle Canarie, sottopone alla fiscalità spagnola tutti i suoi redditi, compresi quelli esteri. Ora nel caso delle plusvalenze immobiliari che, come abbiamo visto non sono imponibili in Italia, bisognerà dichiararle in Spagna anche se i beni si trovano nel Bel Paese. L’abitudine a considerare questi redditi esenti o quasi, porta molti a non prevedere questo esborso.

VT – Mi scusi, ma se oltre ad aliquote similari, si pagano anche imposte sulle plusvalenze, allora il fisco spagnolo è più esoso di quello italiano!

GC – Ha ragione! Il fatto è che ci siamo limitati a considerare solo l’IRPEF. La differenza è che in Italia occorre poi aggiungere le addizionali regionali e comunali, l’IRAP, oltre a mille piccoli balzelli: accise, marche su patenti e documenti, carte da bollo e diritti negli Uffici Pubblici, ticket ospedalieri, abbonamento TV, bollo auto, ecc. In Spagna tutte queste tasse non esistono o sono ininfluenti.

VT –  Quindi, quali sono gli obblighi degli italiani residenti nelle Canarie?

GC – Devono presentare due dichiarazioni l’anno o, quanto meno, verificare di doverlo fare. Il modello 720 si presenta fra Gennaio e Marzo per informare di tutti i beni posseduti fuori dalla Spagna. A Maggio/Giugno si presenta la dichiarazione per tutti i redditi ottenuti, sia in questo Paese sia in qualsiasi altro. Si ricorda che il fatto di possedere una proprietà immobiliare in Italia, quì è considerata seconda casa e produce reddito imponibile da risparmio.

Comoli Consulting
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