2012, dicembre

VV – Abbiamo qui con noi il Sig. Giovanni Comoli a cui vorremmo rivolgere alcune domande riguardanti la residenza.

IPT – Effettivamente c’è abbastanza confusione, soprattutto perchè stanno avvenendo dei cambi importanti a livello europeo.

VV – Ci dica, dunque!

IPT – Prima di tutto vorrei chiarire che cos’è la residenza. Ogni persona deve scegliere un Paese nel mondo dove fissare la sua residenza. Obbligatoriamente è lo Stato dove vive più di 6 mesi, o per usare un termine legale, più di 183 giorni nell’anno fiscale. L’importante è capire che si può essere residenti solo in un Paese.

VV – Perchè non è possibile esserlo in più di uno Stato?

IPT – Si tratta di una razionalizzazione delle risorse comuni. Il Paese in cui una persona risiede si deve fare carico della sua assistenza sanitaria e sociale e ai fini fiscali ha diritto a esenzioni, detrazioni e aiuti. Se un cittadino fosse residente in più di uno Stato, ci sarebbe un raddoppio di costi. Ad esempio, le Sanità dei due Paesi dove una persona risiede, dovrebbero entrambi assicurargli un medico di famiglia a sua disposizione per dodici mesi.  

VV – Però una persona può avere interessi economici in altri Stati, no?

IPT – Ha detto bene: interessi economici. Una persona, in uno Stato in cui non è residente, può avere case, imprese, conti correnti o investimenti, ovviamente regolati dalle Leggi locali, ma non avrá mai diritto ai servizi di tipo sociale e sanitario. Pagherà le tasse come non residente, con aliquote apposite per la sua condizione e senza alcun diritto ad aiuti, sovvenzioni o detrazioni fiscali.

VV – Questo vale anche nella Comunità Europea?

IPT – Quando si aprirono le frontiere in Europa, tutti ci siamo sentiti affascinati dall’idea romantica dei film americani, dove la gente si muove in totale libertà da uno Stato all’altro. In realtà ognuno degli Stati, siano essi europei o americani, mantengono una propria identità con Leggi e fiscalità peculiari. L’Europa, euforica per quell’apertura, avvenuta per di più in un momento di espansione economica, ne ha di fatto sottovalutato le conseguenze. A distanza di anni e sotto la spinta dell’attuale congiuntura, i Paesi stanno riorganizzando le proprie procedure fiscali, sanitarie e sociali nei confronti dei cittadini degli altri Stati comunitari, perchè si sono resi conto di avere perso l’incasso di molte tasse e imposte, nonchè di avere aumentato i propri costi sociali e sanitari.

VV – Potrebbe spiegarcelo con esempi pratici?

IPT – Certo! Qualunque italiano che compra una seconda casa nel Bel Paese, sa che dovrá inserirla nella dichiarazione dei redditti e pagarne l’IRPEF per il possesso. Chi, invece, ha comprato una proprietà a Tenerife per passarci alcuni mesi l’anno, ha pensato che, essendo l’unica casa posseduta in Spagna, non sarebbe stata soggetta a nessuna imposta sul reddito. Purtroppo, essendo egli non residente, la proprietà comprata è di fatto una seconda casa, soggetta quindi al pagamento di imposte in questo Paese. Inoltre, avrebbe dovuto aggiungere tale reddito alla sua dichiarazione italiana provocando, anche se nella maggior parti dei casi non avrebbe pagato altre imposte, un aumento del suo imponibile. Nel primo caso abbiamo la dimostrazione di come Spagna ha perso incassi sulle imposte, nel secondo di come Italia ha concesso aiuti e detrazioni a un cittadino per un redditto falsato perchè non sono stati dichiarati i beni all’estero.

VV – Per evitare questi fatti cosa sta facendo la Spagna?

IPT – Semplicemente ha regolamento con maggiore attenzione la concessione della residenza ai cittadini europei, tornando alle regole che, quelli come me che arrivammo prima dell’apertura delle frontiere, erano sottoposti: avere un posto di lavoro, un’attività economica o un capitale sufficente a mantenersi, oltre a una casa di proprietà o in affitto.

VV – Quindi per avere il N.I.E. occorre dimostrare tali condizioni?

IPT – Ecco, approfitto della domanda per fare una distinzione fra i vari documenti e le procedure. N.I.E. significa numero di identificazione di straniero e viene assegnato la prima volta che uno straniero si presenta davanti alla Polizia. Non cambierà mai e lo identifica nei rapporti con lo Stato (come il Codice Fiscale italiano). Quello verde, ora in formato tesserino, è il Certificato di Registro di Cittadino dell’Unione Europea. Attesta l’ottenimento della residenza in Spagna. Se un europeo intende stare in questo Paese meno di tre mesi, non dovrà fare nulla, se soggiornerà fra i tre e i sei mesi, deve presentarsi davanti alla Polizia che gli rilascerà un certificato bianco che attesta il possesso del N.I.E., mentre, per starci più di sei mesi, dovrebbe iniziare la pratica per richiedere la residenza.

VV – Però moltissimi italiani sono in possesso del foglio verde anche se non hanno la residenza in Spagna.

IPT – Quando dicevo che i Paesi hanno sottovalutato le conseguenze dell’apertura delle frontiere, mi riferivo a leggerezze di questo tipo. Spagna ha concesso nel passato questo certificato a qualunque europeo lo richiedesse. Se lo leggiamo con attenzione scopriamo che “la persona quì identificata ha richiesto e ottenuto la sua iscrizione nel Registro Centrale <omissis> come residente comunitario in Spagna”. La concessione della residenza è una pratica formata da una decina di punti che si conclude con l’iscrizione all’AIRE in Italia. Avere ottenuto questo certificato significa essere a metà cammino per cambiare di Paese, fatto che pone le persone in una situazione irregolare e che potrebbe provocare in futuro eventi imprevisti. Consiglierei a tutti gli italiani non residenti di annullare questo certificato.